Il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa da lavoro va retribuito?

Il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa da lavoro va retribuito?
26 Giugno 2020: Il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa da lavoro va retribuito? 26 Giugno 2020

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 8623 pubblicata il 7.5.2020, è tornata ad occuparsi della questione, a lungo dibattuta, relativa alla possibilità di considerare come orario di lavoro da retribuire il tempo che il dipendente impiega per indossare e dismettere gli abiti da lavoro cd. “tempo tuta”.

IL CASO. Con ricorso depositato avanti al Tribunale di Chieti alcuni dipendenti di un ASL, con la qualifica di infermieri, dell’ASL, avevano richiesto che fosse compreso nell’orario di lavoro, e quindi venisse loro retribuito, il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa all’inizio e alla fine del turno (attività che necessariamente doveva avvenire presso i locali dell’ospedale in un momento antecedente alla marcatura del cartellino orario). 

Il Tribunale di primo grado rigettava il ricorso. 

La sentenza di primo grado, a seguito di gravame proposto dai dipendenti dell’ASL, veniva riformata dalla Corte d’appello che, invece, riconosceva come il tempo impiegato dai lavoratori, oltre l’orario normale del turno, e pari a venti minuti, per indossare e dimettere la divisa, costituisse tempo di lavoro. Pertanto, condannava l’ASL al pagamento, in favore dei medesimi, delle differenze contributive.

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’ASL.

LA DECISIONE. La Suprema Corte con la sentenza in parola si è uniformata alla consolidata giurisprudenza in materia, affermando che l’attività di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell’obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresì, attività svolta non (e soltanto) nell’interesse dell’azienda, ma dell’igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene. Pertanto, da diritto alla retribuzione anche nel silenzio della contrattazione collettiva, in quanto, proprio per le peculiarità che la connotano, deve ritenersi implicitamente autorizzata dall’ASL.

Tale decisione non si è posta, quindi, in contrasto con il principio, già affermato dalla giurisprudenza, secondo il quale nel rapporto di lavoro subordinato il cd. “tempo tuta” costituisce tempo di lavoro solo ove qualificato da eterodirezione.

La Corte sottolinea, infatti, che “la eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina di impresa, ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento, o dalla specifica funzione che devono assolvere”.

In difetto di eterodirezione, l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà, conseguentemente, titolo al corrispettivo.

Non vi sono dubbi che gli infermieri, per esigenze di igiene e sicurezza, sia dei dipendenti che del pubblico, devono indossare e dismettere le divise sul luogo di lavoro prima dell’inizio del turno e alla fine senza mai portarla all’esterno. Si tratta, infatti, di modalità comportamentali imposte da imprescindibili esigenze datoriali e che, come tali, sono da considerarsi tempo di lavoro da retribuire, non avendo il lavoratore la possibilità di scegliere di agire diversamente e indossare la divisa a casa.

Pertanto la Corte, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità e alla giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva 2003/88/CE, ha riconosciuto l’attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno, e ha, quindi, rigettato il ricorso.

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